Erano passati ormai due anni dalla mia avventura in Canada ed il senso di appagamento oramai era svanito. A quei tempi avevo un lavoro stabile, uno discreto stipendio e tutto filava liscio, ma questo ovviamente non era sufficiente. I soldi venivano spesi in cose inutili ed il tempo passava veloce senza che nulla di memorabile accadesse, se non per una interessante settimana passata con gli amici a camminare sul sentiero 3 V nelle valli bresciane.
La mia storia era ferma al mio viaggio di due anni prima ed era venuto il momento di scrivere un nuovo capitolo. Dopo aver contrattato quattro settimane di ferie con la azienda per cui lavoravo, potevo finalmente progettare un’avventura in uno dei posti che da sempre sognavo di visitare: l’Islanda!
Cercai subito informazioni su clima, terreno, sentieri e persone che prima di me l’avevano attraversata a piedi. Tra questi trovai il resoconto di Alastair Humphrey, che l’attraversò metà a piedi e metà in packraft, così come i racconti di altri che la fecero completamente a piedi. Il piano era fattibile, dovevo solo trovare il percorso più affascinante da intraprendere.
Fu così che scelsi di partire dalla riserva naturale di Hornstrandir, la punta nord occidentale dell’Islanda, un posto straordinario fatto di fiordi, fiumi e prati di un verde impressionante. Il piano prevedeva poi di proseguire a sud senza seguire sentieri fino a raggiungere la costa meridionale, il tutto in autosufficienza. Mi sarei rifornito di acqua lungo il percorso, l’unica incognita era il mio passo: la distanza da coprire era di circa 1000km ed io avevo 25 giorni a disposizione, avrei dovuto quindi mantenere una media di 40 km al giorno, che su sentiero sarebbe stato fattibile.
Partii agli inizi di agosto, raggiunsi la penisola in un paio di giorni, tutto era pronto e non mi restava che mettermi in marcia. Quando arrivai, dal traghetto scesero con me una ventina di persone, per lo più gente che si faceva una gita in giornata ed altri che si fermavano per una o più notti nel parco.
Partii molto gasato, il posto era spettacolare e la mia avventura aveva avuto finalmente inizio. Lo zaino pesava 25kg , piuttosto pesante da portare ma non impossibile. Risalii verso nord lungo una zona pianeggiante rocciosa; man mano che avanzavo la visuale si apriva ed in lontananza vedevo apparire i fiordi della sponda opposta, un paesaggio mozzafiato. L’umore era alto, il posto era bello come me lo aspettavo ed io cantavo camminando su questa pianura rocciosa, non curante del peso dello zaino…
Il giorno seguente le cose cambiarono: la pianura lasciò la strada alle prime salite, visitai qualche fiordo in zona e proseguii. Vi erano delle tracce segnalate con pile di sassi, eredità dei pastori che vivevano nella zona tempo addietro, e io le seguii; il terreno era ancora roccioso ed il percorso era un susseguirsi di fiordi, salita, discesa, fiume e poi ancora salita, discesa, fiume, i dislivelli variavano dai 400 ai 700 mt, alcuni molto ripidi, altri innevati.
Le spalle iniziavano a far male, gli spallacci dello zaino si facevano sentire, la traccia era oramai inesistente e sbagliare strada era facile. Inoltre il cielo sereno era stato sostituito da una leggera pioggia finissima. La superficie rocciosa ormai aveva lasciato il posto ad una specie di muschio che in certi tratti era alto 30 cm e dava l’impressione di camminare su un materasso. Per quanto possa sembrare piacevole, farlo con 25 kg di zaino sulle spalle era piuttosto fastidioso.
Il clima grigio e la pioggia continua non aiutavano il morale; ogni mattina dovevo uscire dal sacco a pelo e rimettermi i vestiti bagnati, il paesaggio era sempre spettacolare ma tetro ed io non riuscivo a rispettare la tabella di marcia benché camminassi oltre 10 ore al giorno. Il terreno, i fiumi da attraversare e lo zaino mi rallentavano a dismisura e la nebbia si faceva sempre più frequente.
Finché un giorno arrivai a perdermi completamente nella nebbia. Mentre riposavo una volpe artica venne a farmi visita, io le parlai e cercai di convincerla a portarmi al valico che dovevo raggiungere ma lei rimase lì ad osservarmi ed io continuai a perdermi, finché seguendo un ruscello non raggiunsi esattamente il punto di partenza della salita. Distrutto e fradicio montai la tenda, mi rimisi nel mio sacco a pelo e mi bevetti un whiskey…
Il giorno seguente, dopo aver studiato la mappa per bene, superai il valico immerso nella nebbia e decisamente euforico discesi la vallata su un pessimo terreno di muschio prendendo qualche storta. Quando arrivai a valle iniziai ad avvertire un dolore sopra la caviglia. Dopo aver camminato per il resto della giornata il dolore era ormai piuttosto forte e dovetti fermarmi a campeggiare, sperando in una notte curatrice a base di antidolorifici.
La mattina mi svegliai con un rigonfiamento simile ad una palla da tennis sul lato sinistro della mia gamba ed il dolore non accennava a diminuire. Presi così altri antidolorifici e ritornai a camminare, ma il dolore continuava ad aumentare ed il morale continuava a diminuire. Nelle vicinanze non c’era nessuno che potesse aiutarmi, potevo solo camminare e sperare di guarire.
Entrai in crisi: il dolore che cresceva, lo zaino che tagliava le spalle ed il ritardo cronico sulla tabella di marcia erano ormai gli unici pensieri nella mia testa. Non riuscivo a cambiare canale, qualsiasi cosa facessi per distrarmi il dolore riportava sempre alla mente le sensazioni negative. Iniziai ad avere una gran voglia di essere a casa con la mia famiglia, con i miei nipoti, con i miei amici, mi stavo lasciando andare…
Erano passati 9 giorni e quel nono giorno segnò la mia resa psicologica a quell’avventura. Il giorno seguente sarei sopraggiunto ad una strada, ad una possibile via di fuga. Ormai era deciso, il dolore aveva vinto e io sarei giunto alla strada per poi trovare un passaggio e rientrare in Italia, avevo mollato, avevo perso.
Per molto tempo detti la colpa alla gamba ed indubbiamente giocò un ruolo importante nella mia decisione di fermarmi, ma nel profondo del mio cuore sapevo che non avevo dato il 100%. Sapevo di non averle provate tutte prima di mollare, magari avrei potuto recuperare altri antidolorifici e riposare qualche giorno per poi continuare ma non feci quella scelta…
Quando tornai in Italia dopo un primo periodo di relax iniziò una fase buia. Il fatto di aver ceduto era diventato un macigno per la mia autostima. Iniziai a bere sempre più spesso e ad essere di cattivo umore, finché una sera, da ubriaco, mi ruppi i legamenti del ginocchio e lì la mia vita cambiò completamente…
L’Islanda oggi rimane sempre una ferita aperta, ma a distanza di tempo posso anche dire che mi ha fatto crescere parecchio.
So di aver imparato molto su di me e sulla mia testa; ora che sto per affrontare una nuova avventura sono più conscio dei pericoli che corro e so quanto sia importante controllare la propria testa.
Ma il ricordo dell’Islanda non è solo questo. La mia Islanda è fatta anche dei paesaggi spettacolari che ho visto, dei fiumi gelidi attraversati in mutande, della sauna nel bel mezzo del nulla, del ranger che voleva arrestarmi per colpa di un olandese. Sono molti i ricordi che ho di questo paese e magari un giorno li scriverò.
L’Islanda era e resta tutt’ora uno dei miei sogni ed un giorno tornerò a saldare il mio debito con quella terra stupenda…