Era il luglio 2011, camminavo pensieroso verso il castello di Brescia quando sorpassando due belle ragazze sentii una lamentarsi con l’altra di essersi dimenticata di cambiare la cintura per abbinarla alle scarpe. Mi misi a ridere, non per la frase in sé, ma per il fatto che da lì a due giorni sarei stato in volo per la più grande avventura della mia vita, la discesa del fiume Mc Kenzie in solitaria e probabilmente sarebbe venuto il momento in cui avrei rimpianto gli stupidi problemi di ogni giorno, dalla cui noia fuggivo alla ricerca di una storia più grande…
Il fiume Mc Kenzie o De’cho si trova nei territori del nord ovest e si snoda per circa 1600 km verso nord, dal Great Slave lake nelle foreste semi-disabitate del Canada fino a sfociare nell’oceano Artico. È il fiume più lungo del Canada ed in certi punti è largo diversi chilometri.
Quando lasciai la cittadina di Yellowknife a bordo del mio kayak biposto carico di provviste per oltre un mese di navigazione non ero né un esperto kayaker e nemmeno un campeggiatore: tutto quello che sapevo era che dovevo farlo, che dovevo mettermi alla prova e vivere questa mia grande avventura.
Mi ci vollero 28 giorni per raggiungere Inuvik, 28 giorni di fatica, sudore e lacrime, durante i quali ho visto posti straordinari, combattuto sciami di zanzare e tafani ed avuto una intensa discussione con un orso nero che decise di invitarsi a cena nella mia tenda. Mi sono ubriacato in una cittadina di pozzi petroliferi e ho conosciuto gente e storie alle quali non ero abituato. Dalla disperazione andai pure in chiesa per parlare con Dio, ma la chiesa era chiusa per ferie…
Il fiume tecnicamente non era difficile, vi erano solo un paio di rapide facili, più preoccupanti erano le onde che si formavano nelle giornate di tempesta o sui laghi. La vera difficoltà, alla quale non ero preparato, non proveniva però dall’ambiente esterno; in assoluto fu molto più difficile gestire la mia testa durante quelle quattro settimane…
Quando organizzai il viaggio mi preoccupai di curare tutti gli aspetti organizzativi: equipaggiamento, cibo, tempistiche, meteo etc. Ma non avevo preparato la mia resistenza mentale. Una volta passata la carica iniziale mi ritrovai a fare i conti con me stesso; la noia portata dalla fatica a tratti mi travolgeva, la tentazione di mollare era un pensiero quotidiano. Sapevo che la fatica sarebbe stata la mia compagna di viaggio e che non mi avrebbe mai abbandonato, allora dovevo scavare e cercare dentro di me le motivazioni che mi avevano portato ad essere lì, nel mezzo del nulla, a faticare ed imprecare contro onde, secche, paludi, pioggia ed orsi. Dovevo ritrovare quelle motivazioni e spremerle per trarne l’energia per andare avanti.
La solitudine, le paure e la fatica ti portano a riflettere molto profondamente, ti costringono a pensare alla vita ed alla morte, alla solitudine ed alle amicizie. Ti spogliano di tutte le maschere che ti sei costruito negli anni ed alla fine rimani solo tu, nudo, e non ti puoi più mentire, puoi solo pagaiare per dimostrare a te stesso che forse non sei così male come credi…
Successero molte cose in quelle quattro settimane, spesi molto tempo da solo a pensare e capii l’importanza degli amici, della famiglia e quanto fossi stupido e fortunato ad essere lì in quel momento. Purtroppo ho una pessima memoria e non mi ci volle molto tempo a dimenticare tutto…
Arrivai a Inuvik dopo 28 giorni, con qualche chilo in meno e qualche pensiero in più, ma la cosa più importante era che il mio sogno si era avverato e che il libro della mia vita finalmente aveva un capitolo che valeva la pena di essere letto.