Sono passati ormai tre mesi dal giorno in cui misi piede sulla spiaggia di El Condor. Da allora ho fatto di tutto per non pensare al viaggio, non ne ho nemmeno parlato con le persone che mi sono vicine e mi sono dedicato anima e corpo ad altri progetti.
Questa cosa a qualcuno sembrerà strana ma accade alla fine di ogni avventura, non è una cosa volontaria, funziona così e basta.
Ogni tanto rifletto sul perché di questo mio comportamento, forse già in passato ho trovato la risposta, ma devo dimenticarla ogni volta dato che continua a succedermi e continuo a ritrovarmi a chiedermi il perché. Quindi, stavolta ho deciso di scriverla, giusto per avere la risposta pronta la prossima volta che mi troverò a riflettere su questa cosa.
Nel periodo che segue un viaggio sento il bisogno di disconnettermi totalmente da quella che è stata la mia vita nei sei mesi precedenti. Mesi intensi, passati a sognare posti sperduti, studiare mappe, pianificare percorsi e remare. Mesi passati a fare quello che amo fare fino ad arrivare finalmente all’agognato traguardo.
Ah si l’agognato traguardo, la verità è che un attimo prima stai lottando e imprecando contro il vento e il mare maledicendo la tua idea di ficcarti in quella situazione e l’attimo seguente sei disoccupato e non sai più cosa fare.
Quello per cui tanto ti sei impegnato e per cui eri pronto a rischiare la vita finisce e tutto d’un tratto un grande senso di vuoto ti assale, “e ora che faccio?” Niente più dighe da superare, niente vento, niente onde, niente mucche con cui parlare…
Una persona normale probabilmente si rilasserebbe e si godrebbe il meritato riposo, ma io faccio parte di quella categoria di persone per le quali non c’è peggior cosa dell’assenza di obiettivi (o sogni come li chiamiamo noi romantici).
Una volta raggiunto l’obiettivo, non mi dedico a celebrare e assaporare il traguardo, la felicità di aver portato a termine un progetto lungo e difficile è fugace. Dopo arriva il momento in cui mi rendo conto di non avere nulla da inseguire, nessun sogno da realizzare e soprattutto, mi rendo conto di non avere le energie per tuffarmi subito all’inseguimento di una nuova avventura e questa è la cosa che più mi brucia.
Credo che quando ci si dedica a inseguire i propri sogni sia difficile ammettere di non avere abbastanza forze per continuare a inseguirli e accettare a cuor sereno un nuovo obiettivo di minore importanza, anche se solo momentaneo.
Per questo una volta finito il viaggio smetto di parlarne e mi dedico giorno e notte ad altro. E’ una forma di autodifesa, è un modo per non pensarci. Per questo non ho più pubblicato foto, scritto articoli o fatto video del mio viaggio in Patagonia.
Come sempre il richiamo dell’avventura non sparisce, è solo sopito, sepolto dal lavoro. Nel frattempo si ricarica in attesa di cogliermi indaffarato nella mia quotidianità e travolgendomi come un fiume in piena mi trascinerà nuovamente in qualche angolo sperduto del mondo…
P.S.
A dire il vero non volevo parlare di questo, volevo scrivere l’epilogo del viaggio, beh troppo tardi ormai…